I 10 anni dalla morte di Marco Pantani: un racconto particolare

Pubblicato il 14 Febbraio 2014 alle 09:02 Autore: Barbara Vellucci
I 10 anni dalla morte di Marco Pantani: un racconto particolare

Com’è vivo in me il ricordo di quella notte! Mi ero addormentata lasciando la tv accesa, poi ho riaperto gli occhi per un istante e con la vista ancora annebbiata ho iniziato a fissare incredula lo schermo. Il Tg stava dando la notizia della morte di Marco Pantani. Era la notte del 14 febbraio 2004.

Ho intitolato questo pezzo “un racconto particolare” perché in realtà io non sono mai stata una tifosa di Pantani, e non perché avessi qualcosa contro di lui, ma perché il ciclismo non è mai stato una mia passione. Nonostante non seguissi né questo sport né le imprese del Pirata, avevo compreso che Marco non ti poteva lasciare indifferente, che ti emozionava anche se non ci capivi nulla di bici. Da grande campione qual era, riusciva a calamitare l’attenzione e a farsi volere bene da tutti. Il mondo del ciclismo gli deve tanto, e quanto si è sentita poi la sua mancanza! Se Marco riusciva a far giungere sprazzi di emozioni anche ad una come me, che al ciclismo non s’è mai appassionata, ciò significava soltanto una cosa: che eravamo di fronte a qualcuno che non incontri tutti i giorni, che avevamo davanti a noi il Campione con la ci maiuscola.

il pirata

Pantani ha scritto la storia del ciclismo italiano…

 

In questi anni si è detto e scritto di tutto su di lui. La sua morte ha lasciato aperti tanti interrogativi, lo ha ribadito molto chiaramente anche sua madre Tonina. Proprio perché si è già detto e scritto di tutto, io vorrei condividere il mio ricordo personale di Marco, un ricordo che è sportivo, affettivo.. Il mio è il ricordo di una tifosa “anomala”.

In casa mia si parlava di Marco Pantani tutti i giorni. Al contrario di me, mio padre ha sempre amato il ciclismo e non solo in veste di tifoso ma anche di cicloamatore. Pantani era – ed è tuttora – il suo idolo, ne seguiva le imprese sportive ovunque, guardava e riguardava i filmati delle sue gare, riuscì anche ad andare ad una cena organizzata con la Mercatone Uno a Terracina. Quando Pantani tornò a correre dopo i fatti di Madonna di Campiglio, convinse e trascinò anche me all’arrivo di tappa del Giro d’Italia, sempre a Terracina, il 14 maggio del 2000. Quando i ciclisti arrivarono al traguardo, tutte le persone che stavano aspettando i corridori si riversarono in strada; mi accorsi che mio padre non era più accanto a me, attraversai la strada anch’io, senza guardare, poi mi fermai di colpo perché stavano ancora giungendo corridori. Mi voltai e vidi che Marco Pantani era di fronte a me, si era fermato un istante per farmi passare, io mi scostai subito e lasciai transitare lui e tutti gli altri. Tornai a confondermi tra la folla, ancora incredula di averlo visto. Come se una leggenda come lui si fosse improvvisamente materializzata davanti ai miei occhi. Misticamente parlando, un’apparizione! Conservo nel cuore quel fugace ricordo di un attimo.

quel maledetto giorno

Quel maledetto giorno a Madonna di Campiglio.

Per 7 anni di fila ho seguito mio padre e la sua squadra di ciclismo a Cesenatico. Partecipavano alla gran fondo che ogni anno si organizza nella cittadina di Marco, la Nove Colli. Andare a Cesenatico era come andare in “pellegrinaggio”, si respirava Pantani ad ogni angolo di quel luogo. Obbligatoria anche la tappa allo stand della famiglia Pantani, per una piadina. Il “pellegrinaggio” non era che l’ennesima dimostrazione di quanto Marco non fosse uno qualsiasi: uno qualsiasi non suscita tutto questo entusiasmo, non smuove masse di gente, non ti emoziona anche se non ami lo sport che pratica. Proprio per questo Marco era “uno di famiglia”. E quando la notte del 14 febbraio 2004 appresi la notizia della sua morte, al mattino presto mi svegliai prima che mio padre accendesse la tv: volevo essere io a dargli la triste notizia. Non è stato facile comunicarglielo, sapevo cosa significasse per lui Pantani.

mamma tonina

Il Pirata è più vivo che mai. L’Italia lo amerà per sempre.

Qualche anno dopo la sua morte, nel 2012, la mia strada torna ad incrociarsi con quella di Marco. A Bologna incontro Elisa, una ragazza che gli è stata molto vicina nell’ultimo periodo della sua vita, che ha provato a regalargli qualcosa che gli desse forza: la fede. Elisa mi racconta di come abbia conosciuto Marco, ciò che gli ha detto affinché lui potesse tornare ad acquistare un po’ di fiducia; mi racconta di come la madre di Marco, Tonina, abbia scoperto che nella vita di suo figlio ci fosse una ragazza così presente; mi commuove quando mi parla di una lettera di ringraziamenti che Tonina ha scritto nel 2007 (lei che nella fede è riuscita davvero a trovare la forza per andare avanti dopo la morte di Marco) e in cui dice, tra le altre cose: “Grazie Signore. Grazie di avermi fatto incontrare Elisa. Ho perso un figlio, ma ho trovato una figlia, e una chiesa”. Il racconto di questa storia lo trovate nel libro “Nel nome di Marco”, scritto da Tonina Pantani e Francesco Ceniti, edito da Rizzoli.

Ho voluto ricordare Marco Pantani svelando alcune mie memorie personali, conscia del fatto che per il decennale della sua morte le sue imprese sportive e i suoi momenti bui saranno abbondantemente ricordati da tutti i media. E se anche una come me, che non ha mai seguito il ciclismo, è riuscita a capire che dopo la scomparsa del Pirata questo sport non è più stato lo stesso, allora signori miei inchinatevi e siate riconoscenti: avete avuto la fortuna di assistere ad un miracolo che si è materializzato davanti ai vostri occhi. Avete visto la grandezza di un Campione che vivrà per l’eternità.