Diga sul Nilo: l’Etiopia accusa Egitto e Sudan di minare i negoziati

Pubblicato il 25 Aprile 2021 alle 10:58 Autore: Lorenzo Tita

L’Etiopia ha accusato Egitto e Sudan di minare le negoziazioni inerenti la grande diga sul Nilo. Secondo Addis Abeba, gli altri due Paesi desiderano far deragliare le trattative portate avanti dall’Unione Africana, riguardanti le regole per il riempimento e il funzionamento del Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD).

La mediazione dell’organo pan-africano, partita a giugno 2020 a seguito del fallimento dei negoziati proposti dall’ex presidente statunitense, hanno raggiunto uno stallo. Ciò ha comportato un innalzamento della tensione tra i Paesi coinvolti nel mastodontico progetto da 5 miliardi di dollari.

L’Etiopia vuole affidarsi esclusivamente all’Unione Africana poiché convinta che così non le verranno imposte concessioni. Egitto e Sudan, al contrario, cercano partner esterni al continente che possano incrementare la pressione su Addis Abeba.

Le accuse dell’Etiopia

Il portavoce del Ministero degli Esteri etiope ha dichiarato che Il Cairo e Khartoum vogliono togliere potere all’istituzione pan-africana. L’ambasciatore Dina Mufti ha altresì affermato che il tentativo sudanese di includere nelle mediazioni gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Banca Mondiale ha come unico fine quello di promuovere l’agenda politica di parti terze.

L’Unione Africana e le Nazioni Unite condividono già una piattaforma per lo scambio di informazioni riguardanti gli affari africani” – ha aggiunto Mufti – “L’Etiopia ha inviato una lettera al Consiglio di Sicurezza, proponendo misure per rafforzare la fiducia tra le parti”.

Il Paese situato nel Corno d’Africa rimprovera inoltre all’Egitto di insistere sulla validità degli accordi stipulati in epoca coloniale, nel 1929 e nel 1959. Tali accordi prevedono il diritto quasi esclusivo sulle acque del Nilo da parte degli Stati a valle, oltre al diritto di veto su ogni progetto a monte.

Le posizioni di Egitto e Sudan

L’approccio unilaterale dell’Etiopia preoccupa i Paesi a valle. La Repubblica Federale Democratica ha infatti costruito la diga senza consultare gli altri Stati interessati. Ha inoltre evitato di eseguire in anticipo la valutazione sull’impatto ambientale e sociale di tale progetto. Addis Abeba ha imposto il fatto compiuto ai propri vicini, insistendo sul proprio diritto sovrano.

Le motivazioni di questa scelta si devono ricercare sia nello storico rifiuto egiziano di prendere in considerazione progetti di dighe a monte come il GERD, sia nel tentativo etiope di sfruttare le turbolenze interne all’Egitto nel post-2011. L’unilateralismo e la politica del fait accompli sono fino ad ora risultati vincenti. Il Cairo ha non solo accettato la diga come parte del diritto allo sviluppo dell’Etiopia, ma sta ora cercando un accordo vincolante sulla gestione a lungo termine della diga per mitigare i danni futuri.

Il problematico riempimento della diga

Il programmato riempimento del GERD da parte dell’Etiopia preoccupa Sudan ed Egitto. Al Palazzo di Vetro di New York, i rappresentanti sudanesi hanno dichiarato che il riempimento rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale. L’Etiopia ha previsto tale operazione nei mesi di luglio e agosto, proprio in coincidenza con la stagione delle piogge.

Il Cairo e Khartoum temono che il flusso d’acqua in transito nei propri territori diminuisca a seguito del completamento del progetto sul Nilo Azzurro. Il Paese guidato da al-Sisi è alle prese con una grave crisi idrica, che potrebbe dunque peggiorare a seguito del prossimo riempimento del bacino. Khartoum invece teme per le sue dighe.

La strategia di al-Sisi

Nelle ultime settimane il presidente egiziano ha alzato i toni dello scontro. Abdel Fattah al-Sisi ha dichiarato che negare all’Egitto l’acqua di cui ha diritto porterebbe ad un livello di instabilità regionale oltre l’immaginazione di chiunque.

Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi

Un accordo di condivisione dell’intelligence militare con l’Uganda ed esercitazioni militari congiunte con il Sudan hanno rafforzato il posizionamento del Paese che ospita la foce del Nilo.

Le parole dell’inquilino del Palazzo di el-Orouba hanno un duplice obiettivo: da un lato vogliono incrementare l’attenzione della comunità internazionale nei confronti della diga, dall’altro intendono avvertire l’opinione pubblica interna del costo dell’opzione militare, facendo dunque propendere il popolo egiziano per un approccio diplomatico.

Le opzioni dell’Etiopia

Benché anche il ministro sudanese per l’irrigazione Yasser Abbas abbia sottolineato che “tutte le opzioni restano aperte”, è improbabile che possa esplodere un conflitto. Le accuse dell’Etiopia a Egitto e Sudan non sembrano poter garantire un vantaggio ad Addis Abeba riguardante la diga sul Nilo.

L’isolamento dell’Etiopia sta aumentando, anche per colpa delle azioni nella regione dei Tigrai. Le Nazioni Unite hanno avviato un indagine sui crimini di guerra perpetrati. Lo stesso primo ministro Abiy Ahmed ha riconosciuto che le atrocità sono avvenute.

Addis Abeba deve inoltre affrontare le insurrezioni sul proprio territorio e si trova a fare i conti con una pesante riduzione di aiuti internazionali.

Le turbolenze interne all’Egitto si sono placate e Il Cairo ha costruito solidi partenariati internazionali che possono isolare ulteriormente la nazione guidata da Ahmed.

L’Etiopia, dopo aver ottenuto l’accettazione della diga da parte dei vicini rivieraschi, deve ora decidere quale strada prendere: consolidare le proprie conquiste tramite un accordo di protezione, oppure continuare a testare la pazienza degli altri attori coinvolti, accettando tutti i rischi che ne derivano.