Il Fondo Monetario Internazionale cambia rotta sull’austerity

Pubblicato il 18 Ottobre 2020 alle 10:02 Autore: Saverio Bonini

Il nuovo Fiscal Monitor del FMI

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) è l’istituzione globale che si occupa della stabilità economica e della ristrutturazione del debito estero di diversi Paesi, diventato particolarmente famoso nel periodo della crisi dei debiti sovrani, e ampiamente criticato per l’approccio neoliberista e rigorista imposto alla Grecia e ad altri Stati europei.

Tra le diverse attività istituzionali, ogni semestre il Fondo pubblica un documento denominato Fiscal Monitor in cui analizza le politiche fiscali e di bilancio dei diversi Paesi, formulando proiezioni e suggerimenti correttivi. L’ultimo report è stato emesso proprio in ottobre e porta con sé delle novità. Ne ha parlato in una intervista al Financial Times Vitor Gaspar (Head of Fiscal Policy al FMI).

In sostanza, il report ha sorpreso non poco per il cambio di strategia – per lo meno per i Paesi delle cosiddette “economie avanzate” – sulle politiche di bilancio da seguire per l’uscita dalla crisi economica causata dalla pandemia di coronavirus: il suggerimento è quello di ricorrere all’indebitamento piuttosto che all’austerity.

Secondo il Fondo, infatti, i Paesi in grado di accedere ai mercati potranno finanziarsi a tassi particolarmente bassi e le proiezioni considerano la possibilità di riequilibrare i bilanci entro la metà del decennio. Questo, in termini tecnici, è dovuto alla previsione di un rimbalzo del PIL e di tassi di interessi sui mercati finanziari molto bassi, in grado di tenere costantemente il costo di servizio al debito pubblico al di sotto della crescita del PIL stesso. Così, entro il 2025 il disavanzo primario – corretto per gli effetti del ciclo – sarà più elevato di quanto non sia ora, ma riceverà una compensazione dai minori interessi che gli Stati dovranno pagare sul debito pubblico. Va comunque detto che le due ipotesi – il rimbalzo del PIL e i tassi di interesse bassi – sono comunque ancora incerte, così il valore di confidenza delle stime contenute nel documento è ancora piuttosto basso.

Insomma, se il debito pubblico mondiale è arrivato a sfiorare il 100% del prodotto globale (con percentuali più alte in proporzione alla ricchezza dei Paesi), una cifra record, è anche vero che le proiezioni del Fondo sono incoraggianti e ci dicono che il rapporto tra debito e PIL si stabilizzerà (e in alcuni casi diminuirà) per la maggior parte delle economie avanzate: un segno che la crescita del debito, per questi Paesi, ha carattere eccezionale e transitorio, e non strutturale.

In questo contesto va evidenziato come quindi, secondo il Fondo, le stime pre-crisi fatte per le economie strutturate rimangono valide, incluse quelle per la Cina e per gli Stati Uniti: in questi due casi l’aumento del rapporto debito/PIL era già stimato in ascesa in relazione alle strategie politiche di espansione della spesa pubblica non compensate da politiche di inasprimento delle tasse.

Il cambio di strategia

Come si è detto, ciò che ha particolare rilevanza politica nel documento è senza ombra di dubbio il cambio di strategia del FMI: da un confronto tra l’ultimo Fiscal Monitor e lo stesso documento emesso nel novembre 2010, nella stessa fase della crisi dello scorso decennio, si nota un completo ribaltamento dell’opinione dell’istituzione internazionale. Se prima la parola d’ordine era austerity, oggi al primo posto c’è il rilancio economico.

Da cosa deriva questo cambio di opinione, accompagnato per altro da un mea culpa sulla fretta di suggerire l’austerità nel 2010 fatto proprio da Vitor Gaspar nella conferenza stampa di presentazione del Fiscal Monitor di ottobre?

Dobbiamo fare un piccolo passo indietro e chiederci da dove derivava la strategia dell’austerity, ovvero di politiche di bilancio rigoriste che prevedono l’innalzamento delle tasse e il taglio della spesa pubblica. Gli studi di riferimento fino al 2013 erano senz’altro quelli di Reinhart, Rogoff, Alesina e Ardagna, economisti di fama internazionale che avevano sostenuto la tesi secondo cui esiste una soglia limite per il rapporto tra debito e PIL al di sopra della quale il debito pubblico schiaccia la crescita in modo sensibile, impedendo al prodotto interno lordo di aumentare: una diminuzione del debito, quindi, con un taglio alla spesa pubblica dovrebbe “liberare” l’economia dal peso e permettere al PIL di crescere. Chiunque abbia letto un libro di macroeconomia, a questo punto, si metterebbe le mani nei capelli e resterebbe in uno stato di confusione: far aumentare il PIL diminuendo la spesa pubblica (ovvero una delle due componenti), sembra alquanto strano. E infatti, nel 2013 è Paul Krugman a mettersi le mani nei capelli: il premio Nobel per l’economia ha raccolto sufficienti criticità negli studi degli economisti pro-austerity da invalidare la teoria della soglia del rapporto debito/PIL e della crescita con il taglio della spesa e l’aumento delle tasse. Tra l’altro, giusto qualche anno prima, a fare una doccia fredda ai sostenitori dell’austerità-a-tutti-i-costi era stata la realtà stessa: i Paesi che avevano subito l’austerity imposta dalle istituzioni internazionali per il risanamento dei loro debiti e che partivano da condizioni economiche di sofferenza hanno visto scendere ancora di più il loro PIL (in questo caso si dice che la politica messa in atto è stata pro-ciclica, ovvero ha accentuato il ciclo economico già discendente).

Non stupisce quindi che ora, alla luce degli sviluppi degli studi di macroeconomia, il Fondo Monetario Internazionale suggerisca una strategia diversa, per lo meno per quelle economie che possono effettivamente accedere ai mercati finanziari (il Fiscal Report indica ancora la politica di bilancio oculata, tuttavia, per Paesi emergenti che non possono accedervi e finanziarsi con la presa a prestito su questi mercati internazionali).

Le conseguenze politiche

La nuova linea del FMI sarà senz’altro d’aiuto alle economie dell’Unione Europea, e in particolar modo a quelle economie che hanno subito maggiormente il contraccolpo della crisi pandemica. Un suggerimento di questo tenore, infatti, dovrebbe consentire all’Unione (ovvero ai Paesi più rigoristi) di lasciare liberi di investire a debito gli Stati membri, anche quelli che hanno i maggiori squilibri nei loro bilanci. Si tratta, in fondo, di un rinvio delle politiche di diminuzione del debito, per altro consentito dalla sospensione dei vincoli di Maastricht già messa in atto dall’UE. I sostegni fiscali alla crescita potranno – e dovranno secondo il Fondo – rimanere in piedi ancora per un po’, per lo meno fino a quando il sistema economico non recupererà la fiducia nella stabilità del futuro e la ripresa avrà delle basi solide su cui appoggiarsi.

 

Fonti

Financial Report (ottobre 2020) – https://www.imf.org/en/Publications/FM/Issues/2020/09/30/october-2020-fiscal-monitor

Intervista al Financial Times di Vitor Gaspar – https://www.ft.com/content/722ef9c0-36f6-4119-a00b-06d33fced78f

Financial Report (novembre 2010) – https://www.imf.org/en/Publications/FM/Issues/2016/12/31/Fiscal-Exit-From-Strategy-to-Implementation

Studi citati pro e contro l’austerity:

    • Reinhart, C. M., & Rogoff, K. S. (2010). Growth in a Time of Debt. American Economic Review, 100(2), 573-78.
    • Alesina, A., & Ardagna, S. (2010). Large changes in fiscal policy: taxes versus spending. Tax policy and the economy, 24(1), 35-6
    • Krugman, P. (2013). How the case for austerity has crumbled. The New York Review of Books, 6, 2013