Il nuovo Congresso degli Stati Uniti: come cambiano Camera e Senato e chi sono i nuovi eletti

Pubblicato il 23 Novembre 2020 alle 08:40 Autore: Duilio Rega

L’elezione di Joe Biden come 46° presidente degli Stati Uniti d’America è ormai cosa fatta, i riconteggi che si stanno svolgendo nei diversi Stati dimostrano che il risultato non sarà ribaltato. La sfida fra Democratici e Repubblicani ora si sposta al Senato Federale, dove i risultati della Georgia ci diranno se Biden avrà la maggioranza al Congresso degli Stati Uniti oppure no. 

Va innanzitutto ricordato che negli Stati Uniti si ha una differenziazione fra l’elezione del Presidente e dei due rami del Congresso Federale, composto da Camera e Senato. La prima ha una composizione popolare, dove gli stati più popolosi esprimono un maggior numero di rappresentanti, il Senato invece è composto da due membri per ogni Stato, andando quindi a creare un’assemblea di cento membri. A questi va aggiunto però anche il Vice Presidente degli Stati Uniti, il quale svolge anche il ruolo di Presidente del Senato ed esprime il proprio voto in caso di parità.

Bisogna inoltre specificare i poteri esclusivi di cui è dotato il Senato: la nomina di funzionari e giudici federali e la ratifica dei trattati internazionali.

IL NUOVO CONGRESSO DEGLI STATI UNITI

Alla luce di quanto si è detto, si capisce meglio quanto per la futura amministrazione Biden sarà fondamentale avere il controllo del Senato a Gennaio. Ad oggi infatti i Repubblicani hanno già 50 membri, mentre il Partito Democratico ne avrebbe 48, di cui due conteggiati come indipendenti. Per il Partito Democratico risulta quindi necessario vincere entrambi i seggi in Georgia per poter avere a quel punto il controllo dell’ala congressuale, grazie al voto decisivo del Vice Presidente. 

Qualora i democratici riuscissero ad ottenere la maggioranza, Biden potrebbe attuare la sua agenda politica soprattutto per quanto riguarda la transizione energetica, le politiche sul lavoro, l’assistenza sanitaria e anche in parte sulla politica estera. Difatti l’agenda di Biden si pone in fortissimo contrasto con quella che è stata l’azione dell’amministrazione di Trump nei passati quattro anni su questi temi. 

Biden si propone di investire ingenti risorse sulla transizione ad un’economia green oltre a voler rientrare, molto probabilmente tramite un ordine esecutivo, all’interno degli accordi di Parigi, accordi dai quali Donald Trump era volutamente uscito per poter spingere sulla produttività delle aziende statunitensi, svincolate dai vincoli ambientali. Come sempre sul livello aziendale e lavorativo, indiscrezioni dei media statunitensi danno come possibile futuro segretario al Lavoro il senatore Bernie Sanders, avversario di Joe Biden alle primarie democratiche e che si definisce apertamente socialista, il quale propone, fra le varie misure, di innalzare il salario minimo dei lavoratori americani a 15$ all’ora e di dare più potere ai sindacati. 

Per quanto riguarda l’aspetto sanitario, Biden si propone di istituire una proposta sanitaria pubblica che possa essere alternativa per tutta la popolazione a quella privata, senza necessariamente escludere quest’ultima.

L’aspetto però più interessante però riguarda la politica estera. Ovviamente, le cancellerie europee e i governi del medio-oriente e dall’Asia stanno aspettando la nomina dei membri del governo di Biden per capire l’indirizzo che quest’ultimo può intraprendere. Però intanto possiamo pensare a come il Senato potrebbe intervenire all’interno di questa visione. Sicuramente un senato a trazione repubblicana sicuramente andrebbe contro qualsiasi azioni di riavvicinamento alla Cina o di un maggior impegno di medio-oriente, teatri nei quali (sopratutto nel primo) l’azione dell’amministrazione Trump è stata più forte. Sicuramente da Pechino non si aspettano un’inversione di rotta da parte di Biden, ma certamente si ha l’aspettativa che l’azione possa essere più prevedibile e incentrata su altri scenari. Difatti per quanto le maggiori azioni di guerra e non nel teatro pacifico siano state storicamente portate avanti da presidenti Democratici, rimane nell’ideologia Repubblicana identificare il Pacifico come area di propria competenza. Non è però la Cina l’elemento su cui il senato potrebbe influire, ma piuttosto la Corea del Nord. Biden infatti ha sempre manifestato la chiara volontà di raggiungere un accordo con Pyongyang per la denuclearizzazione della penisola coreana. Una mossa di questo genere indebolirebbe fortemente un attore storicamente ostile a Whashington, toglierebbe alla Cina uno dei suoi maggiori alleati (o almeno, un comodo nemico) dallo scacchiere  a rafforzerebbe sia Seul e al contempo darebbe un importante segnale al Giappone. In uno scacchiere così fortemente modificato, il Presidente difficilmente potrebbe agire senza passare necessariamente dal Congresso e in particolar modo dal Senato. I repubblicani accetterebbero questa politica  estera? 

Come si sarà notato, non si è parlato volutamente della Camera dei Rappresentanti. Difatti li i democratici detengono una maggioranza che, per quanto si sia ridotta dalle mideterm di due anni fa, permette a Biden di governare quel ramo del congresso con relativa tranquillità. Ma se  il Senato dovesse passare in mano Repubblicana, allora a quel punto Biden dovrebbe necessariamente modificare in maniera sostanziale la propria agenda o tentare di accontentare i repubblicani, magari concedendo un posto all’interno del governo. Oppure, Biden potrebbe comunque cercare di portare avanti le proprie idee e il proprio programma che verrebbe sistematicamente fermato al vaglio del Senato e così spingere verso le elezioni di metà mandato dove potrebbe farsi forte del fatto che non è riuscito a portare avanti le sue iniziative a causa dell’ostruzionismo repubblicano. Ostruzionismo che senza ombra di dubbio ci sarebbe, ma la domanda da farsi è una sola: da chi sarebbe governato? La risposta è tanto semplice, quanto di difficile soluzione per il partito dell’elefantino: da Donald Trump. Dopo quattro anni, la stragrande base del Partito Repubblicano è tranquillamente riconducibile a Trump. Se i senatori, rappresentanti e governatori repubblicani vogliono mantenere i loro seggi o provare a correre per nuove elezioni, devono necessariamente fare i conti con Trump il quale difficilmente si ritirerà a vita privata, ma continuerà la propria battaglia. Quanto questo potrà rendere in termini elettorali ai repubblicani è tutto da valutare. 

La sfida per il senato è quasi a conclusione. Ora non resta che attendere i risultati della Georgia, stato dove per la seconda volta si decide il futuro degli Stati Uniti.

COME CAMBIA IL SENATO DEGLI STATI UNITI

Il Partito Democratico è riuscito a guadagnare un Senatore perdendo il seggio in Alabama, ma conquistandone uno in Colorado e uno in Arizona. Il Partito Repubblicano deve mantenere entrambi i seggi in Georgia per mantenere la maggioranza al Senato. 

 

COME CAMBIA LA CAMERA DEI RAPPRESENTANTI DEGLI STATI UNITI 

Alla Camera dei Rappresentanti, prima dell’Election Day del 3 novembre i Democratici potevano contare su una maggioranza di 235 seggi, contro i 199 controllati dai Repubblicani; oggi, con gli ultimi 8 seggi ancora da assegnare, i Dem sono già certi di aver conservato la maggioranza, nonostante il divario con i Repubblicani si sia ridotto.

Al momento, infatti, con 427 seggi assegnati su 435, il Partito Democratico ne ha conquistati 222, superando così la soglia dei 218 seggi necessari per avere la maggioranza; anche in caso di conquista di tutti gli ultimi 8 seggi ancora da assegnare, però, i Dem si fermerebbero a +23, un risultato inferiore a quello delle elezioni del 2018.

Il Partito Repubblicano, al quale sono stati ufficialmente assegnati già 205 seggi, ha infatti sottratto ai Dem diversi seggi, “rubandone” uno anche al Partito Libertario nel terzo distretto dello Stato del Michigan.

I distretti che si sono colorati di rosso a discapito dei Dem al momento sono: i distretti 39esimo e 48esimo della California, il quarto distretto dello Utah, il secondo distretto del New Mexico, il settimo distretto del Minnesota, il primo distretto in Iowa e il secondo in New Jersey.

I Dem, invece, si sono difesi sottraendo ai Repubblicani il settimo distretto in Georgia ed il secondo e il sesto in North Carolina.

Hanno inoltre conservato il proprio seggio Alexandra Ocasio-Cortez e la Speaker della Camera Nancy Pelosi, rispettivamente nel quattordicesimo distretto dello Stato di New York e nel dodicesimo distretto della California; in particolare, Nancy Pelosi continuerà a ricoprire la carica di leader dei Dem alla Camera, sebbene la sua conferma sarà formalizzata soltanto nel prossimo gennaio.

I VOLTI NUOVI DEL CONGRESSO DEGLI STATI UNITI

Tante conferme ma anche tante novità all’interno del Senato e della Camera degli States.

Sono stati eletti alla Camera il 33enne Mondaire Jones ed il 32enne Ritchie Torres, entrambi Democratici ed entrambi i primi afroamericani apertamente gay eletti al Congresso; in particolare, Ritchie Torres è stato eletto nel South Bronx, uno dei distretti più poveri dello Stato di New York e di tutti gli USA.

Oltre alla comunità LGBTQ+, anche il movimento Black Lives Matter entra al Congresso grazie all’elezione della Dem Cori Bush, attivista, prima donna nera eletta in Missouri.

Non tutte le novità figurano però tra le fila dei Dem: ne è un esempio Yvette Herrell, nativa americana Cherokee eletta al Congresso per il Partito Repubblicano.

Madison Cawthorn, 25 anni, eletto in North Carolina alla Camera, ha strappato ad Alexandra Ocasio-Cortez il primato di più giovane eletto negli ultimi 50 anni di storia del Congresso; è principalmente noto, però, per aver ricevuto accuse di molestie e razzismo e per le sue simpatie di estrema destra, in particolare per Adolf Hitler.

A far compagnia a Cawthorn troviamo Lauren Boebert e Marjorie Taylor Greene: la Boebert, prima donna eletta senatrice nel terzo Distretto del Colorado, è una forte sostenitrice del diritto alle armi e simpatizza per il movimento complottista di estrema destra QAnon, passione condivisa proprio con la collega Greene.