Latinos for…Trump?

Pubblicato il 20 Aprile 2021 alle 10:07 Autore: Giacomo Bridi

Novembre 2020: in un’elezione combattuta, Biden viene eletto come 46esimo Presidente degli Stati Uniti. Lo ha fatto riconquistando i feudi dell’Upper Midwest di Michigan e Wisconsin, oltre alla Pennsylvania. Ciliegina sulla torta, la conquista (per un soffio) di due Stati dal sangue repubblicano, Arizona e Georgia, divenuti di recente contendibili. Ma facendo un’analisi del risultato, un problema viene subito alla luce. Infatti, pur aumentando i margini nei sobborghi e diminuendo la distanza da Trump tra i bianchi, Biden ha perso molto terreno proprio tra le categorie demografiche presso cui i democratici tradizionalmente spopolano. Insomma, è dove i democratici vanno meglio che sono andati peggio.

Se è vero che non tutti i non-bianchi si sono spostati verso i repubblicani, è un gruppo in particolare ad aver mostrato il maggior spostamento: gli ispanici. Più che parlare di una “perdita di terreno”, però, dovremmo rovesciare la prospettiva. Sono i voti per Trump ad essere aumentati con un ritmo maggiore specialmente tra i latinos, con enormi conseguenze sul piano elettorale. Non è tanto una sconfitta per Biden, quanto un segnale di successo per il ticket repubblicano presso un segmento di elettorato che sta piano pian svelando un’inaspettata (o forse mai considerata) complessità. Cos’è successo, e perché?

Il voto per gruppo etnico

Uno dei canoni della politica americana è la dinamica del voto per gruppo etnico. Generalizzando all’estremo, si può notare come quanto “più bianco” e più anziano è un elettore, tanto più probabilmente tenderà a presentarsi alle urne e a votare repubblicano. Per converso, afroamericani, asiatici e giovani tendono a votare meno, ed essere a larga maggioranza democratici. Ne consegue che, sempre secondo la dottrina classica, più alta è l’affluenza più i democratici avranno probabilità di vincere.

Questi assiomi sono provati da decenni di cicli elettorali in cui la storia si ripete. Anche gli ispanici sono stati storicamente in prevalenza democratici. E continuano ad esserlo: il 65% ha votato per Biden. Ma Trump ha guadagnato il 5% presso i latinos rispetto al 2016. In un’elezione con un’affluenza da record. Le variazioni ovviamente non sono state uguali ovunque, e anzi hanno visto molte oscillazioni: come previsto, una leggerissima flessione nei consensi presso i latinos si è accompagnata a uno spostamento a sinistra nei sobborghi bianchi, portando Biden a vincere l’Arizona. Da altre parti, non è andata così bene. Vediamo perché.

I casi studio

Per osservare il fenomeno da vicino è bene concentrarsi sulle aree dove questo è stato più spiccato. Tra queste, la valle del Rio Grande al confine tra Texas e Messico, la contea di Miami-Dade in Florida, oltre alle circoscrizioni più ispaniche delle maggiori città. Per quanto riguarda le metropoli, è facile accorgersi delle ferite nel fronte democratico. Los Angeles, New York, Philadelphia, Chicago, Washington hanno visto un deciso aumento delle percentuali di voto per Trump nei loro distretti più multietnici, pur all’interno di una schiacciante maggioranza democratica.

South LA, Jackson Heights e Corona a Queens, l’intero Bronx, Northeast Philadelphia, Cicero fuori Chicago sono quartieri soprattutto ispanici dove si è visto un deciso aumento di voti per l’ex Presidente. Certo, si tratta di zone dove Biden ha stravinto con l’80-85%. Ma è meno del 90-95% preso da Hillary e Obama. Trump non può certo stappare lo champagne per aver raggiunto tra i latinos urbani un impressionante 14%, ma è molto più del 4-5% preso quattro anni prima.

North Philadelphia, mappa della popolazione per gruppo etnico: giallo per gli ispanici, verde per gli afroamericani, blu per i bianchi, rosso per gli asiatici. Fonte: bestneighborhood.org

E quando si tratta di vincere uno Stato per il rotto della cuffia, i margini contano eccome. Le mappe seguenti mostrano come anche a un colpo d’occhio sia possibile rendersi conto del balzo compiuto da Trump nelle comunità ispaniche urbane, in questo caso a Philadelphia. Nei quartieri afroamericani, Trump è passato da una media di 1% a un 2-3%.  Nelle circoscrizioni contenute nel “cono” di maggioranza latinoamericana Trump è passato da una media del 4-5% di consensi a un più solido 18-20%. Non sono cifre da capogiro, ma in uno Stato come la Pennsylvania il gioco è tutto nei margini, e se i democratici si indeboliscono nei propri feudi, per i repubblicani il gioco diventa molto più facile.

Spostamento dei margini di voto 2016-2020: in blu dove Biden ha fatto meglio della Clinton, in rosso dove Trump è migliorato. Una tonalità più scura indica un aumento più pronunciato. Fonte: The New York Times

Florida

Un’area metropolitana particolare è quella di Miami, dove i latinos sono radicati da decenni, e hanno raggiunto quota 70% nell’intera contea di Miami-Dade (che conta 2,7 milioni di abitanti). La popolazione nata all’estero è circa la metà, mentre la città è storicamente roccaforte della più grande comunità di cubani negli Stati Uniti, con un terzo dei suoi residenti che si identifica come tale. A differenza degli altri ispanici, i cubani di Miami tendono decisamente al conservatorismo, essendo in prevalenza fuggiti dall’isola dopo la presa di potere di Castro. Per la forte ideologizzazione che ne consegue, sono stati sempre facilmente avvicinabili dai repubblicani.

E così è stato fino agli anni ’90, dopodiché la contea di Miami-Dade è diventata uno dei serbatoi democratici dello Stato, assieme alle vicine contee di Broward e Palm Beach. Ma proprio qui Biden ha visto un drammatico calo nel suo margine di vittoria, prendendo il 53% dei consensi, laddove Hillary aveva conquistato il 63%. Trump nel frattempo è passato dal 34% al 46%, conquistando anche una sezione di latinos che aveva votato per un terzo partito. Nel grafico è mostrato quanto impressionante sia stata l’interruzione di un trend che ormai sembrava chiaro.

Nella contea, il voto nelle circoscrizioni cubane è andato per il 35% a Biden, contro il 49% di Hillary. In quelle latinoamericane il calo è stato di 20 punti secchi, dal 70% al 50%. Più in generale, basti pensare che se i margini a livello statale fossero rimasti gli stessi del 2016 (ceteris paribus) Biden avrebbe vinto la Florida per quasi 49mila voti.

Texas

Da anni e anni si parla del Texas come del prossimo swing State, a causa della crescente quota di popolazione ispanica e dell’esplosione delle sue metropoli, che hanno iniziato ad attirare lavoratori laureati (bacino elettorale sempre più vicino al partito democratico). Ad ogni ciclo, i democratici accarezzano l’idea di vincerlo. Togliere ai repubblicani i suoi 38 grandi elettori li priverebbe praticamente di ogni possibilità di insediare il proprio candidato alla Casa Bianca.

I latinos sono concentrati nelle aree metropolitane – soprattutto a San Antonio -, ma moltissimi vivono nella Rio Grande Valley, l’area confinante col Messico all’estremo meridione. Si tratta di zone con un reddito medio piuttosto basso, dove la percentuale di latinos va dall’85% al 97%. Qui gli spostamenti verso Trump sono stati impressionanti: nella contea di Starr la sua percentuale di voti è passata dal 19% al 47%. In quella di Maverick si è passati dal 21% al 45%. Di seguito le serie storiche nelle contee di Hidalgo e Cameron.

Anche qui, a livello più generale, secondo gli exit poll ci sono stati degli spostamenti importanti. Nel 2016, la Clinton conquistava gli ispanici con il 61% contro il 34%. Quattro anni dopo, Biden ha vinto con il 58% contro il 41%. Il punto, qui come in Florida, non è tanto il generalizzato calo del voto democratico, ma il recupero dei voti di Trump tra i latinos che potrebbe pregiudicare le chance di vittoria democratica in futuro.

I perché

Ci sono molte possibili ragioni per il verificarsi di questo fenomeno, e nessuna è mai certa. Quel che è sicuro, è che è arrivata l’ora di smettere di considerare i latinos come un blocco unico, un gruppo uniforme che segue un singolo istinto elettorale. Una recente ricerca di Equis Research, la prima di una serie, cerca di andare a fondo nel fenomeno. Da un lato, le possibili spiegazioni ricadono nella sfera comunicativa. L’eliminazione dell’immigrazione dai temi focali della campagna ha forse fatto “dimenticare” a molti latinos le posizioni anti-ispaniche con cui Trump aveva debuttato. Dall’altro, aver dipinto i democratici come un covo di socialisti potrebbe aver dato una grossa mano soprattutto in Florida del sud, tra gli esuli cubani e venezuelani. Inoltre, alcuni sondaggisti segnalavano da mesi un fattore-carisma del businessman con un certo seguito tra i giovani uomini ispanici, descritti da alcuni come gli ultimi fedeli all’ideale dell’american dream. C’è poi un possibile fattore economico: i latinos sono sproporzionalmente impiegati nell’industria alberghiera e della ristorazione, due settori colpiti durissimo dalla pandemia.

Ecco quindi che votare il candidato “aperturista” diventa conveniente. Questo spiegherebbe anche come mai a mobilitarsi per Trump siano stati proprio quegli elettori che raramente si recano alle urne. C’è un’ultima considerazione da fare. È possibile che si stia formando un distacco tra le campagne di giustizia sociale, l’ipercorrettismo e in generale le posizioni in tema razziale del partito da una parte, e una sezione consistente dell’elettorato latinoamericano dall’altra. Non dimentichiamoci infatti che i latinos hanno al loro interno una consistente fetta di conservatori, che probabilmente non si era schierata con Trump quattro anni fa a causa della sua linea dura anti-immigrazione.

Conclusioni

Se quanto accaduto alle scorse elezioni è davvero l’inizio di un trend, l’intera letteratura sul futuro politico del Paese sarebbe praticamente da buttare. Da decenni, infatti, si parla di come i repubblicani siano condannati all’oblio a causa del cambiamento demografico del Paese. Ovviamente, l’assunto di base è che le minoranze continuino a votare massicciamente democratico come hanno sempre fatto. Se il voto ispanico diventasse effettivamente contendibile in modo costante, l’intera prospettiva politica futura del Paese sarebbe da riscrivere. C’è un precedente che potrebbe tranquillizzare i democratici: la popolarità di Bush jr. tra i latinos nella sua rielezione nel 2004. Quello fu un evento isolato, probabilmente dettato dalla prospettiva di una mai realizzata riforma del sistema di immigrazione.

Quello che accadrà questa volta lo sapremo solo con il tempo.