Le 2 opzioni per rimuovere Trump

Pubblicato il 8 Gennaio 2021 alle 15:36 Autore: Riccardo Ricchetti

Dopo oltre 2400 anni, il Campidoglio è stato assaltato nel nome di Donald Trump. Questa volta, però, non siamo nella Roma antica ma nel District of Columbia, durante la ratifica formale della vittoria del Presidente-eletto. Alla guida dell’assedio, al posto di Brenno, c’era lo sciamano di QAnon.

Nessuna oca, però, è riuscita a salvare il Congresso.

Le ferite inferte nel pomeriggio più lungo d’America sono profonde. Il bilancio attuale è di 5 vittime e decine di feriti, oltre ai numerosi arresti e al danno enorme provocato alla democrazia occidentale.

Nei corridoi di Washington si rincorrono le voci di una possibile rimozione di “The Donald” dalla carica di Presidente per disinnescare il rischio di altri eventi del genere negli ultimi 12 giorni di mandato.

L’assalto a Capitol Hill – 6 gennaio 2021

 

IL XXV EMENDAMENTO

Nello scacchiere di moltissimi Democratici e di più di un Repubblicano la prima pedina da muovere è il XXV Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Adottato nel 1967, sulla scia dell’omicidio Kennedy, consta di quattro sezioni.

La prima chiarisce che la successione del Vicepresidente, in caso di morte, inabilità permanente o dimissioni del Presidente, avviene con pieni poteri e non come “Presidente facente funzioni”.

È stata applicata in occasione delle dimissioni di Richard Nixon, travolto dallo scandalo del Watergate.

La seconda afferma che, in caso di vacanza della Vicepresidenza, il Presidente procede a proporre un candidato che deve poi essere approvato dalla maggioranza di entrambe le Camere del Congresso.

La terza permette al Presidente di dichiararsi temporaneamente “inabile all’esercizio dei poteri e dei doveri della carica”, comunicandolo per iscritto allo Speaker della Camera e al Presidente del Senato, ossia il Vicepresidente degli Stati Uniti, che contestualmente ne assume la funzione; con lo stesso procedimento può riacquisire la carica. Attuata da Reagan e Bush Jr, temporaneamente sottoposti ad anestesia.

La quarta, quella oggetto dell’attenzione in queste ore, prevede che il Vicepresidente, con l’assenso della maggioranza dei Segretari del Gabinetto o di un altro organo designato con legge dal Congresso, comunichi per iscritto al Presidente pro tempore del Senato e allo Speaker della Camera dei Rappresentanti che il Presidente non è in grado di esercitare i poteri e i doveri del suo ufficio, i quali vengono immediatamente assunti dal Vicepresidente in qualità di Acting President.

Anche in questo caso, il Presidente può riassumere i poteri come nella sezione precedente, ma la sua comunicazione può essere impugnata.

Di fronte all’impugnazione, Vicepresidente e il Gabinetto hanno quattro giorni di tempo per inviare una nuova dichiarazione di inabilità; il Congresso deve quindi riunirsi entro le 48 ore successive (se non è già in seduta) e ha ulteriori tre settimane per decidere sulla comunicazione (nel frattempo, i poteri presidenziali rimangono in capo al Vicepresidente).

Se i 2/3 dei membri di entrambe le Camere del Congresso ritengono che il Presidente non sia effettivamente in grado di adempiere al proprio ufficio, il Vicepresidente rimane Acting President; in caso contrario il Presidente riassume i poteri.

In 54 anni la sezione IV non è mai stata attivata.

 

L’IMPEACHMENT

La strategia per dare scaccomatto al Presidente non si limita al XXV Emendamento. La mossa decisiva, infatti, potrebbe essere l’impeachment, ovvero la rimozione di un funzionario di livello federale o statale (in quest’ultimo caso varia di Stato in Stato tranne in Oregon, dove non è prevista). La procedura si snoda tra Camera e Senato: la prima formula i capi di imputazione, il secondo giudica il Presidente.

L’iter ha inizio, su istanza di un deputato o di non-membri, presso le commissioni competenti della Camera dei Rappresentanti, che svolgono le dovute indagini e trasmettono quanto raccolta alla commissione Giustizia, che formula e approva l’accusa sotto forma di risoluzione. Lo step successivo vede un passaggio in aula: l’incriminazione è approvata a maggioranza semplice con un voto per ciascun articolo.

La risoluzione passa così al Senato, presieduto dal Chief Justice della Corte Suprema. Siamo innanzi a un vero e proprio processo, con la possibilità per le parti di presentare testimoni per esami incrociati. La Camera alta approva la rimozione a maggioranza dei 2/3 dei presenti, adducendo le relative motivazioni, che siano di condanna o di assoluzione.

I Presidenti sottoposti a procedura di impeachment sono stati tre: Andrew Johnson (1868, 11 capi d’accusa: assolto), Bill Clinton (1999, assolto dallo scandalo Lewinsky) e lo stesso Donald Trump (2020, assolto dalle accuse di abuso di potere e ostruzionismo al Congresso per le presunte pressioni operate nei confronti dell’Ucraina affinché aprisse un’indagine locale su Joe Biden e suo figlio).

 

IL DILEMMA DELLA RIMOZIONE DI TRUMP

Mentre l’Amministrazione continua a perdere pezzi e Trump riconosce la sconfitta promettendo una transizione ordinata e pacifica, l’ira del Congresso per quanto accaduto non sembra destinata a placarsi. I parlamentari Democratici non intendono perdonare l’assalto a Capitol Hill e chiedono a gran voce la rimozione del Presidente, in particolare Ilhan Omar e Alexandria Ocasio Cortez, alle quali si sono sommati il deputato repubblicano Adam Kinzinger, il governatore repubblicano del Vermont Phil Scott e quello del Massachusetts Charlie Baker. L’unico dissenso in casa Democratica proviene dalle due senatrici del Nevada, le quali preferirebbero evitare ulteriori tensioni e attendere l’insediamento del loro leader alla Casa Bianca.

Giovedì sera la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, e il leader dei Democratici al Senato, Chuck Schumer, hanno chiesto al Vicepresidente uscente Mike Pence di attivare il XXV Emendamento, senza tuttavia ricevere alcuna risposta. “Se Pence non dovesse rispondere positivamente alla richiesta di attivare il XXV Emendamento, avvieremo la procedura di impeachment per Donald Trump una seconda volta” hanno dunque avvertito i due capigruppo democratici.

Fonti vicine al Vicepresidente hanno fatto trapelare che Pence non ha intenzione di perseguire questa strada, poiché significherebbe di fatto rinnegare i quattro anni di governo. E per di più se Trump dovesse scoprire le intenzioni del suo Vice e dei membri del suo Governo non esiterebbe a licenziarli in tronco. L’unica alternativa sarebbe, quindi, l’impeachment, ma questo scenario pone il problema del tempo, visto che la messa in stato d’accusa e il conseguente processo durerebbero come minimo alcuni giorni.

Il Vicepresidente degli Stati Uniti e Presidente del Senato Mike Pence e la Speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi

A frenare l’istinto punitivo nei confronti del suo avversario è stato proprio Joe Biden. La CNN riferisce che il presidente eletto preferirebbe rimanere concentrato sul giuramento del 20 gennaio e considererebbe l’eventuale rimozione di Trump un atto che non aiuterebbe a unificare il Paese, ma piuttosto ad alimentare il caos da una costa all’altra.

I giorni passano e il dilemma della politica americana resta: se da un lato si teme l’imprevedibilità di Trump seduto per altri 12 giorni sullo scranno dell’uomo più potente del mondo libero, dall’altro The Donald furioso per una sua rimozione potrebbe portare a un’ulteriore escalation.

Insomma, secondo alcuni sarebbe il caso di dire: “non stuzzicar il can che dorme”.

L'autore: Riccardo Ricchetti