Leggi e Sistemi Elettorali: Maggioritario

Pubblicato il 12 Ottobre 2020 alle 22:39 Autore: Dario Trimarchi

Introduzione

Si definisce “Legge Elettorale” quella legge che regola il Sistema Elettorale di un Paese, ovvero l’insieme delle regole utilizzate per trasformare i voti durante le elezioni in seggi in Parlamento. In altre parole, il Sistema Elettorale è ciò che stabilisce le regole del gioco nelle elezioni democratiche.

Nelle democrazie, il Parlamento è il luogo in cui i nostri rappresentanti, da noi votati, scrivono le leggi che regolano il nostro stato. Per eleggere i membri del Parlamento, gli Stati vengono divisi in tante aree (i collegi o circoscrizioni), in cui si presentano dei candidati. Gli elettori possono votare solamente i candidati del proprio collegio. Coloro che vincono, ottengono dei “seggi” in Parlamento, dove rappresenteranno i cittadini nella stesura delle leggi.

Ma come si stabilisce, nei singoli collegi, chi è il vincitore? E quanti vincitori possono esserci per ogni collegio?

La risposta a queste domande viene data dal Sistema Elettorale.

Possiamo identificare tre grandi famiglie di Sistemi Elettorali:

Maggioritari

Proporzionali

Misti

In questo articolo, ci occuperemo dei sistemi Maggioritari, analizzandone due tipologie fondamentali: i sistemi plurality e i sistemi majority.

Sistema “Plurality”: Uninominale Secco

Un sistema elettorale si definisce maggioritario quando tutti i seggi del collegio elettorale in cui avvengono le elezioni possono essere vinti esclusivamente dal partito o dal candidato che ottiene la maggioranza (assoluta o relativa) dei voti: questi sistemi si basano dunque sul principio del “winner takes it all” (il vincitore prende tutto).

Per capirlo meglio: immaginiamo di dividere l’Italia in tre grandi collegi (Sud, Nord e Isole) e immaginiamo che in ognuno di essi vi siano tre candidati di tre partiti differenti (Destra, Centro e Sinistra). In ognuno di questi collegi può essere eletto un solo candidato:

Come si può’ notare, sia la Destra che la Sinistra avranno dei seggi in parlamento: questo è molto importante, perché implica che il sistema del “vincitore prende tutto” ha effetto solo a livello del singolo collegio (Nord, Sud o Isole), e non del Paese intero (l’Italia). Una conseguenza di ciò è il fatto che il Partito di Centro non abbia vinto neanche un seggio nonostante abbia ottenuto, sommando i risultati di ogni collegio, più voti rispetto alla Sinistra (101 vs 74).

In un sistema maggioritario questo non ha valore, perché ciò che conta è il risultato nel singolo collegio in cui, se non si arriva primi, non si vince nulla.
Questo spiega, ad esempio, il risultato delle elezioni americane del 2016, in cui Donald Trump non ha conquistato il voto della maggioranza degli Americani, ma è riuscito a vincere lo stesso, avendo conquistato la maggioranza dei collegi.

In realtà,  quella appena descritta è solo la forma più semplice di maggioritario. Esistono infatti delle importanti differenziazioni fra i vari sistemi appartenenti a questa famiglia.

Possiamo distinguere tra sistemi maggioritari in cui per vincere è necessaria la maggioranza assoluta dei voti (50%+1), che vengono definiti “majority”, e sistemi in cui per vincere è sufficiente la maggioranza relativa (basta cioè anche un voto in più rispetto all’avversario), che vengono definiti “plurality”.

I sistemi “plurality” prendono solitamente la forma illustrata nell’esempio di prima: Il paese in cui avvengono le elezioni viene diviso in collegi, e ogni collegio elegge un solo parlamentare che occuperà un solo seggio in parlamento. Questa tipologia di collegi viene definita uninominale, e questo sistema elettorale viene definito Single-Member District Plurality (SMDP), meglio conosciuto in Italia come “uninominale secco”.
I sistemi SMDP vengono spesso utilizzati nel Regno Unito e nelle ex-colonie dell’Impero Britannico (fra cui India, USA e Canada)

Sistema “Majority”: Doppio Turno

I sistemi “majority” prendono una forma diversa rispetto ai plurality. Uno dei più comuni sistemi di questo tipo è il sistema elettorale maggioritario a doppio turno. Immaginiamo di applicarlo al nostro esempio:

Mentre sia nel collegio Isole, che nel collegio Sud, i due partiti vincitori hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, lo stesso non è avvenuto nel collegio Nord. Come si procede per scegliere il vincitore in questo collegio?

 

Un esempio celebre dell’utilizzo di questo sistema è dato dalle Elezioni Legislative e Presidenziali Francesi, ma anche dall’elezione dei sindaci in Italia.

Ciò che è interessante notare è il fatto che, pur rimanendo nella famiglia dei sistemi maggioritari, l’essere passati da un sistema plurality a un sistema majority ha cambiato i risultati delle elezioni.

Sistema “Majority”: Alternative Vote

Un’altra forma di majority, meno comune e utilizzata in paesi come l’Australia, è il sistema dell’Alternative Vote (Voto Alternativo). In questo sistema gli elettori, anziché votare per un solo candidato, fanno una classifica delle loro preferenze tra i candidati, come nell’esempio sottostante:

Se il candidato che ottiene il maggior numero di prime preferenze non ottiene la maggioranza assoluta dei voti, avviene un “ballottaggio istantaneo”, cioè senza bisogno di ripetere le elezioni.

Si elimina direttamente il candidato che ha ricevuto il minor numero di prime preferenze, e i suoi voti vengono suddivisi fra gli altri candidati rimasti in gara fino a che qualcuno non ottiene la maggioranza assoluta.

La redistribuzione avviene sulla base delle seconde preferenze. Per esempio, immaginiamo che io voti “Giulia Bianchi” come prima preferenza e “Maria Ferrari” come seconda. Se Giulia Bianchi risulta essere il candidato con meno prime preferenze, viene eliminata dalla seconda riconta dei voti. Poiché la mia seconda preferenza è per “Maria Ferrari”, ed essendo “Giulia Bianchi” stata eliminata, il mio voto sarà contato come una preferenza per “Maria Ferrari”. Se con l’aggiunta di questi voti Maria Ferrari ottiene la maggioranza assoluta, sarà lei a vincere il seggio.

Gli esempi fino ad ora citati, sono tutti casi di maggioritario con collegi uninominali. Esistono però anche maggioritari con collegi plurinominali, in cui vi sono più di un eletto per ogni singolo collegio. Il procedimento non è molto differente rispetto a quello già visto: il partito che ottiene la maggioranza relativa (plurality) o assoluta (majority) conquista tutti i seggi e gli eletti disponibili, siano essi uno (uninominale) o più di uno (plurinominale).

Quelle illustrate fino ad ora sono solo le forme più comuni di maggioritario, ma ne esistono molte altre  (Borda Count, SNTV ecc.) su cui sorvoliamo per semplificare le cose.

Effetti e conseguenze:

Spesso sentiamo dire che i sistemi maggioritari hanno il “potere” di ridurre il numero dei partiti a due (bipolarismo). Come evidenza si utilizza spesso il caso degli Stati Uniti, che presentano un sistema maggioritario e due partiti (Repubblicani e Democratici).

Generalmente parlando, questo è un mito da sfatare.

Moltissimi Paesi che applicano forme di maggioritario puro hanno un vasto numero di partiti (Francia, India ecc.). Questo è determinato da vari fattori, diversi per ogni Paese. In generale però, è possibile identificare alcune condizioni che spiegano perché la connessione fra maggioritario e bipolarismo non è affatto scontata:

1) Sebbene sia vero che il maggioritario avvantaggia i due partiti più grandi, perché hanno entrambi una chance di arrivare primi e vincere tutti i seggi disponibili, questo avviene solo all’interno del singolo collegio, e non del Paese intero. La ragione è molto semplice: non è detto che in tutti i collegi di un Paese i partiti più grandi siano gli stessi. Tornando al nostro esempio, nei collegi Nord e Sud i due partiti più grandi sono la Destra e il Centro, ma nel collegio Isole sono la Destra e la Sinistra. Quindi, il maggioritario avvantaggerà Destra e Centro nel Nord e nel Sud, ma avvantaggerà Destra e Sinistra nelle Isole. Il risultato, è che il sistema che si verrà a creare, per esempio col maggioritario a doppio turno, è un sistema a tre partiti anziché a due. La ragione per cui gli Stati Uniti hanno due partiti è che in ogni singolo collegio i due partiti principali sono sempre gli stessi.

2) Il maggioritario avvantaggia i partiti locali ed etnici. Poiché ciò che conta è arrivare primi nei singoli collegi, e non ottenere molti voti nel Paese intero, un partito che si presenta anche in un solo collegio e arriva primo, prenderà più seggi di un partito che si presenta in tutti i collegi ma arriva sempre secondo. Il secondo partito avrà molti più voti del primo, ma non otterrà neanche un seggio (come mostrato nel primo esempio). Questo avvantaggia molto i partiti locali: In Scozia, per esempio, la maggior parte dei collegi viene vinta dal Partito Nazionale Scozzese (SNP), che però non si presenta nei collegi del resto del Regno Unito. Dunque l’SNP tende a prendere percentuali molto basse a livello nazionale ma riesce ad ottenere molti più seggi in proporzione essendo il primo partito nella maggioranza dei collegi scozzesi. Al contrario i Liberal-Democrats (LD) presentano candidati in quasi tutti il Regno Unito, ma raramente arrivano primi nei collegi: Nelle ultime elezioni i Liberal-Democrats hanno preso l’11.6% dei voti e conquistato appena 11 seggi, mentre l’SNP ha preso solo il 3,9% ma ha conquistato ben 48 seggi. Questo implica che nei paesi più frammentati dal punto di vista culturale, territoriale ed etnico (come l’India), il maggioritario avvantaggerà la formazione di un grande numero di partiti.

3) Un Paese che passa da un sistema proporzionale ad uno maggioritario, non vedrà necessariamente una riduzione nel proprio numero di partiti. Infatti, è molto probabile che un nuovo sistema elettorale non faccia scomparire tutti i vecchi partiti , ma li porti semplicemente ad adottare strategie differenti. Per esempio, all’interno di uno stesso collegio, due o più partiti possono scegliere di formare una coalizione o di supportare gli stessi candidati. In questo modo i piccoli partiti non scompaiono e aggirano lo svantaggio che il maggioritario gli impone. Prova ne è il fatto che, con l’introduzione di una quota maggioritaria nel sistema elettorale del 1994 (Mattarellum), in Italia comparvero le prime coalizioni pre-elettorali e il numero di partiti non si ridusse (anzi, come ha notato Giovanni Sartori, aumentò).

La presenza del maggioritario determina anche diverse strategie da parte dei politici e degli elettori.

In un “uninominale secco“, per esempio, sarà molto comune il fenomeno del “voto tattico“. Prendiamo il nostro primo esempio, e immaginiamo che io sia un elettore del collegio Sud che si sente molto vicino ideologicamente al candidato di Sinistra ma profondamente lontano da quello di Destra. Immaginiamo anche che io preveda, per esperienze passate o a causa dei sondaggi, che il candidato di Sinistra arriverà terzo. Poiché in questo sistema solo il primo vince, e tutti gli altri perdono, e poiché il maggioritario avvantaggia i due candidati appartenenti ai partiti più forti, votando il terzo partito non solo sprecherei un voto (perché il mio partito ha scarsissime possibilità di vincere), ma rischierei anche di far vincere il partito che meno mi piace (la Destra). Mi conviene infatti votare “tatticamente” il partito che ha più probabilità di battere la Destra (nel mio caso, il Centro).

Ciò significa che il sistema elettorale mi ha spinto a votare non per il candidato che preferisco, ma per il candidato che “odio di meno” fra quelli che hanno delle possibilità realistiche di vincere.

In un sistema a doppio-turno il voto tattico è più raro, in quanto si tende a votare al primo turno il candidato che si preferisce. Nonostante ciò, in certi casi, il voto tattico è necessario per evitare che al ballottaggio arrivino due partiti a noi altamente sgraditi. Un caso emblematico è stato quello delle elezioni Presidenziali Francesi del 2002: poiché gli elettori di sinistra non votarono tatticamente e divisero i propri voti fra ben cinque candidati al primo turno, nessun candidato di sinistra raggiunse il ballottaggio, in cui si scontrarono due candidati (uno di destra e l’altro di estrema-destra), entrambi sgraditi all’elettorato di sinistra.

Al voto tattico degli elettori, corrispondono le “candidature tattiche” dei politici. Poiché è sufficiente arrivare primi in un collegio per essere eletti, i leader dei partiti o alcuni candidati di alto profilo che temono di perdere il proprio seggio, possono candidarsi in collegi in cui sono sicuri di arrivare primi, i così detti “Safe seats” (“Seggi sicuri”).

Questa strategia è però un’arma a doppio taglio: concentrare un eccessivo numero di candidati di alto rilievo nei seggi sicuri, significa mettere candidati meno conosciuti nei collegi in bilico, avvantaggiando così il partito avversario.

In conclusione, possiamo notare come i sistemi maggioritari presentino diversi pro e contro.

Fra i pro si annovera sicuramente la loro semplicità: in un sistema maggioritario è molto semplice votare ed è molto semplice contare i voti e tradurli in seggi. In più, in sistemi con un numero limitato di partiti, il maggioritario garantisce in molti casi delle maggioranze stabili ai governi, dando loro più tempo e più forza nel portare avanti le proprie politiche. Il sistema garantisce anche una maggiore rappresentatività dei territori, delle regioni e della “periferia”, favorendo i partiti locali che rappresentano queste aree.

Questi vantaggi hanno però un costo. I risultati del maggioritario privilegiano il territorio e i singoli collegi, ma svantaggiano un grande numero di elettori, i cui voti risultano essere sprecati o ininfluenti. In aggiunta, come abbiamo potuto vedere nei casi precedenti, non sempre i partiti che ottengono più voti vincono le elezioni, creando distorsioni fra il Paese e i suoi rappresentanti. Inoltre, il sistema maggioritario tende a incentivare il voto tattico rispetto al voto che gli elettori vorrebbero dare, svantaggiando molto i partiti più piccoli.