Perché in Somalia la guerra continua dopo 25 anni?

Pubblicato il 6 Febbraio 2021 alle 15:34 Autore: Tommaso Rossotti

Dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’Italia nel 1960, la Somalia ha conosciuto pochi anni di pace e stabilità, con una guerra civile che impervia ormai da 25 anni. Il susseguirsi di colpi di Stato, attacchi terroristici, guerre interne ed internazionali hanno portato questo Paese ad essere uno dei meno sviluppati al mondo. Come siamo arrivati a questa situazione, e quali sono le speranze di Mogadiscio per il futuro?

L’indipendenza e l’unificazione

Insieme ad Eritrea ed Etiopia, la Somalia faceva parte dell’Africa Orientale Italiana. Tuttavia, non tutta la Somalia fu controllata da Roma: oltre alla cosiddetta Somalia italiana (corrispondente alla parte di Somalia che si affaccia sull’Oceano Indiano), esistevano la Somalia Britannica (la parte nord-occidentale del paese) e la Somalia francese (oggi Gibuti). Le etnie somale infatti sono molto diffuse nel Corno d’Africa, e oggi sono divise tra Somalia, Etiopia, Gibuti e Kenya.

Dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, la Somalia rimase l’unica colonia italiana, ma sotto-forma di un mandato fiduciario con durata di dieci anni: entro il 1960, Mogadiscio sarebbe divenuta indipendente. Nelle altre due “Somalie” il processo di indipendenza prese un ritmo simile, ma forme diverse. Se nella parte italiana infatti fin dal 1950 si sperimentarono forme di autogoverno e di grande autonomia, nei territori francesi e inglesi questo non accadde. Nel 1960, tuttavia, il problema dell’indipendenza si presentò in tutte e tre i mandati. Somalia italiana e britannica decisero così di unirsi, nonostante le diverse esperienze politiche; la Somalia francese decise invece in un referendum di rimanere una colonia di Parigi.

Il regime Barre

Ottenuta l’indipendenza, la Somalia visse fin da subito una grande instabilità. Le tribù degli ex- territori britannici (il Somaliland) non accettarono pienamente la sovranità del governo centrale. Questo portò già nel 1962 al rischio di una guerra civile. Anni di tensione sfociarono, nel 1969, in un colpo di Stato militare guidato da Mohammed Siad Barre.

Barre cambiò il nome del paese in Repubblica Democratica Somala, creando uno Stato a partito unico e sempre più totalitario. Se nei primi anni Mogadiscio godette di una relazione privilegiata con Mosca, questo cambiò verso la fine degli anni ’70 con le guerre dell’Ogaden. Nei piani di Barre, infatti, la Somalia si sarebbe dovuta espandere fino a controllare tutti i territori abitati da popolazioni somale: Gibuti, il Jubaland in Kenya e l’Ogaden, per l’appunto, in Etiopia. Nel tentativo di realizzare questo piano, nel 1977 l’esercito somalo occupò la parte orientale dell’Etiopia. Alla fine, però, Addis Abeba riuscì a riconquistare i territori perduti: fondamentale fu l’appoggio di Cuba e dell’Unione Sovietica. Questo danneggiò i rapporti tra l’URSS e la Somalia, portando l’ex colonia italiana nella sfera americana.

La guerra civile somala

Durante gli anni ’80, il potere di Barre iniziò a vacillare. La sconfitta nella guerra contro l’Etiopia alimentò il dissenso interno; le sue deboli condizioni di salute (fu coinvolto in un gravissimo incidente d’auto) e il crescente clima repressivo diedero fuoco alle polveri. Alla fine degli anni ’80, il movimento indipendentista in Somaliland riprese la lotta per l’indipendenza. Il governo centrale decise di rispondere con grande violenza, causando uno dei più sanguinosi conflitti nella storia del Corno d’Africa. Questo non fece altro che alimentare l’opposizione contro Barre, che fu infine deposto nel 1992.

La caduta del regime non portò pace nel Paese, che anzi scivolò in un lunghissimo conflitto civile. Con la deposizione di Barre, il paese si spaccò. Il nord dichiarò l’indipendenza, mentre il sud divenne il campo di battaglia tra numerosi gruppi militare, guidati dai cosiddetti “signori della guerra”. La situazione umanitaria era tragica. Per questo, dal 1992 le Nazioni Unite autorizzarono una serie di missioni di peace-keeping (UNOSOM I, UNITAR, UNOSOM II). Tutte, però, fallirono: di fatto, la Somalia era uno stato fallito. Tra il 1998 e il 1999, anche il Puntaland (la regione nord-orientale) e l’Oltregiuba (la zona al confine con il Kenya) dichiararono l’indipendenza: il destino della Somalia unita sembrava spacciato.

Le cose però cambiarono. Agli inizi del 2000 i principali gruppi armati raggiunsero un accordo di pace: tali anni furono segnati da un clima di parziale collaborazione. Si formarono infatti istituzioni di transizioni, anche se con sede in Kenya. Ma la guerra in Somalia era destinata a continuare.

La guerra al terrorismo islamico

Se l’inizio del millennio sembrò promettere un graduale ritorno alla normalità, la realtà cambiò rapidamente a partire dal 2006. In quell’anno, infatti, un nuovo attore entrò nel complicato quadro somalo: le cellule terroriste islamiche. Il fragile governo della Somalia si trovò a combattere una guerra contro l’Unione delle Corti Islamiche, Hizbul Islam e al-Shabaab, un gruppo vicino al al-Qaeda. Questo portò, verso la fine del 2006, all’ingresso delle truppe etiopi nel Paese. Nei primi mesi del 2007, i gruppi islamisti riuscirono ad occupare quasi tutta la parte meridionale della Somalia. Con l’aiuto di Addis Abeba, tuttavia, le truppe somale riuscirono a respingere gli attacchi delle Corti Islamiche che si trasformarono in un partito politico: l’Alleanza per la Riliberazione della Somalia. L’ARP e il governo federale aprirono così dei negoziati che portarono alla formazione di un governo di unità nazionale nel 2009.

La Somalia oggi: speranze e debolezze

Oggi la situazione in Somalia è migliorata. Nei primi mesi del 2009 il governo centrale non controllava grandi porzioni del territorio, in particolare al sud e al nord. Grazie all’aiuto delle truppe dell’Unione Africana e del Kenya, al-Shabaab è stato quasi sconfitto sul campo. Nel 2012, il governo transitorio è divenuto governo federale. Per la prima volta dal 1991, la Somalia ha un governo nazionale di fatto.

Questo equilibrio rimane fragile. Nelle regioni meridionali rimangono delle porzioni di territorio controllate dagli islamisti. Le cose sono complicate anche al nord: il Puntland ha accettato l’autorità di Mogadiscio, mentre il Somaliland no. Tra i due territori, inoltre, esistono contese territoriali. La situazione socio-economica rimane gravissima. Il 73% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno. 25 anni di guerra hanno distrutto le già sottosviluppate infrastrutture del Paese. Gli attentati nel sud continuano. L’anno scorso un’invasione di locuste ha distrutto campi ed allevamenti. La pandemia di COVID-19 potrebbe causare nuove instabilità, che potrebbero avere conseguenze devastanti per questo paese. Le prossime elezioni saranno il banco di prova per la debole democrazia somala. Il futuro di Mogadiscio resta incerto.