USA2020, le strategie e azioni legali di Trump per spodestare Biden

Pubblicato il 13 Novembre 2020 alle 08:20 Autore: Andrea Noli

Nella mattina di sabato 7 novembre, i principali mass media statunitensi annunciavano la vittoria di Joe Biden. Ma non tutti hanno reagito allo stesso modo: il presidente Trump non ha riconosciuto la vittoria e ha annunciato una battaglia legale. Vediamo i fatti.

I risultati delle elezioni

Con il 96% dei voti contati alle 22 e 30 del 10 novembre EST, il ticket elettorale Biden-Harris ha battuto quello uscente composto da Trump e Pence. L’ex Vicepresidente si è aggiudicato 279 Grandi elettori contro i 214 di Trump. I 6,6 milioni di voti ancora da esaminare determineranno la sorte dei 45 Grandi elettori ancora da assegnare.

Il presidente-eletto Joe Biden e la vicepresidente-eletta Kamala Harris

Prima ancora del giorno delle elezioni, il presidente aveva dichiarato che temeva che ci sarebbero stati brogli da parte dei Democratici. Questa visione è stata amplificata dal dilemma dei voti per posta ed è stata sostenuta da una parte dei Repubblicani e da politici di destra di varie parti del mondo.

Il 7 mattina, mentre fioccavano le congratulazioni a Biden e Harris, Trump twittava di aver vinto le elezioni e con un grosso margine.

I tweet di Trump

Come sua abitudine, Trump ha sfruttato Twitter per dare sfogo alle sue proteste. Il presidente ha scritto più e più volte di aver vinto, che le elezioni erano state truccate e che i Dem stavano rubando la presidenza. Twitter in risposta ha etichettato i tweet del presidente come contenenti falsità o inesattezze.

Trump tweet

“VINCEREMO”, tweeta Trump

L’umiliazione più grande è arrivata quando sotto a un tweet dove si proclamava vincitore, appariva la scritta che l’Associated Press aveva dichiarato vincitore Joe Biden. Perdendo la presidenza, Donald Trump perderà anche alcuni benefici derivanti dallo status di persona “molto rilevante” e quindi potrebbe anche vedersi cancellato l’account dal social.

Le prime mosse di Trump

Già il 4 novembre, il presidente dichiarava la vittoria in Pennsylvania forte di un vantaggio di 675000 voti. Questo nonostante mancassero ancora più di un milione di voti da esaminare. Lo stesso annuncio veniva fatto per la Carolina del Nord e la Georgia, nonostante lo stesso problema.

Il giorno dopo, un giudice federale della Pennsylvania ha respinto un ricorso del team elettorale di Trump per chiedere il blocco del conteggio dei voti nello Stato. La motivazione di tale ricorso era la presunta assenza di osservatori Repubblicani durante le operazioni di scrutinio. Tuttavia, durante l’udienza gli stessi avvocati del partito hanno ammesso che gli osservatori erano presenti.

Rudy Giuliani, sindaco di New York durante l’attacco alle Torri gemelle e principale legale di Trump

Il 6 novembre Biden soprassa Trump in Pennsylvania e Georgia a scrutini ancora in corso, con i voti “in assenza” (absentee votes: sistema di voto che permette di votare per posta a persona che non possono farlo fisicamente nel giorno delle elezioni) che sembravano favorire lo sfidante.

Il giorno stesso, il Segretario di Stato della Georgia annunciava che dato il margine risicato tra i contendenti, si sarebbe proceduto al riconteggio dei voti. Da notare che questa pratica avviene per legge in diversi Stati, quando la differenza è uguale o inferiore all’1%. Nonostante ciò, il responsabile del sistema elettorale dello Stato affermava che non c’era traccia di irregolarità nei voti.

Sempre il 6, il giudice associato della Corte Suprema Samuel Alito, ordinava alla Pennsylvania di separare le schede elettorali arrivate in ritardo, a fronte della disputa sulla legittimità dell’estensione di tre giorni della scadenza per l’arrivo degli stessi.

Il fronte Repubblicani in disaccordo con Trump

Non tutte le voci del partito del presidente hanno sostenuto la tesi dei brogli. Tra le voci più “pesanti” che hanno definito indifendibile la reazione del presidente troviamo:

  • Rick Santorum: ex senatore, arrivato secondo dietro Romney nelle primarie repubblicane del 2012
  • Ben Sasse: senatore del Nebraska
  • Mitt Romney: ex governatore del Massachusetts, senatore per lo Utah, ex sfidante di Obama nel 2012 e unico repubblicano a votare a favore dell’accusa di abuso di potere di Trump durante l’impeachment
  • Larry Hogan: governatore del Maryland
  • Chris Christie: governatore del New Jersey

Mitt Romney, uno dei pezzi grossi repubblicani contro Trump

Secondo la CNN, anche lo stesso genero del presidente Jared Kushner (che ricopre anche il ruolo di consulente senior dello stesso) e la stessa Melania Trump avrebbero privatamente cercato di convincerlo ad accettare la sconfitta. Sempre secondo la CNN, Trump sarebbe conscio della sconfitta ma fermo nel voler andare avanti nella battaglia legale.

Il fronte pro Trump

Oltre ai membri della sua amministrazione e il suo team legale, altri importanti repubblicani hanno assecondato e difeso le accuse di brogli. Tra questi spiccano:

  • Lindsey Graham: senatore della Carolina del Nord ed ex oppositore di Trump quando questi aveva avuto parole poco lusinghiere per il defunto senatore McCain
  • Ted Cruz: senatore del Texas e anch’esso ex oppositore dell’allora candidato alle primarie Trump. Quest’ultimo aveva anche accusato il padre di Cruz di aver avuto un ruolo nell’omicidio di JFK. Tuttavia in seguito diventato uno dei suoi principali sostenitori
  • Kevin McCarthy: attuale leader repubblicano alla Camera
  • Mitch McConnell: leader dei Repubblicani al Senato, che ha affermato che Trump ha diritto di accusare di brogli e di valutare mosse legali

Mitch McConnell, strenuo sostenitore di Trump

Complotti e debunking

Molte delle prove di presunti brogli sono state prontamente “sbugiardate”. Il Presidente Trump ha dichiarato che contando i voti legali, il vincitore era lui mentre contando quelli illegali loro (i Dem) stavano cercando di rubare le elezioni. Trump ha anche definito sospetto che la maggioranza dei voti per posta fosse per Biden. Tuttavia, questo fenomeno è in linea con le tendenze dei democratici di votare per posta più di quanto facciano i repubblicani. Il cosiddetto “blue shift”.

Alcuni esempi di accuse smentite sono:

  • quella del Breitbart News che sosteneva che nella contea di Fulton in Georgia, Biden avesse ricevuto 3000 voti extra dopo un presunto errore di conteggio. In realtà i voti in questione erano solo 342 e non è stato specificato per quale candidato fossero
  • un video diventato virale che ritraeva un operatore dei seggi intendo a riempire un’urna elettorale, poi scoperto essere un travaso di schede da un’urna danneggiata a un’altra
  • accuse di voti sotto il nome di persone morte ma con dati poi rivelatisi incorretti e quindi l’accusa smontata

La strategia di Trump

Il team legale di Trump, capitanato dall’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, è quella di contestare la validità dei voti per posta. Su questo sentiero ricadono le cause intentate in Pennsylvania, Nevada, Michigan e Arizona. Proprio nel primo di questi Stati, ovvero quello che ha dato la vittoria al ticket Biden-Harris, Giuliani e co. hanno denunciato un presunto doppiopesismo tra voti in persona e per posta. La tesi è che per i secondi gli scrutinatori abbiano usato metodi più superficiali per verificarne la validità.

Un’arma a favore di Trump è arrivata da Bill Barr, procuratore generale degli Stati Uniti (equiparabili al nostro ministro della Giustizia. Barr ha autorizzato i pubblici ministeri federali a far partire le indagini per accertare la presunta irregolarità del voto. Lo stesso Barr ha dichiarato che questa iniziativa non deve leggersi come un’ammissione del possesso di prove delle frodi ma solo come un modo per ampliare i margini di manovra degli Stati.

In segno di protesta all’annuncio di Barr, sono arrivate le dimissioni di Richard Pilger. Questi era l’alto funzionario del Dipartimento della Giustizia a cui sono affidate le indagini sui brogli. Pilger ha accusato Barr di aver rotto il patto di neutralità del Dipartimento, dato che le indagini sono sempre state lasciate in mano agli Stati.

La Corte Suprema come ultimo baluardo trumpiano

L’ultimo asso nella manica di Trump è continuare a lottare fino a portare la sfida alla Corte Suprema. Lì i repubblicani hanno la maggioranza con sei giudici su nove, tra cui il presidente John G. Roberts. Forte anche della recente nomina di Amy Coney Barrett, al posto della recentemente scomparsa Ruth Bader Ginsburg, Trump spera di poter riacciuffare la vittoria con l’eventuale giudizio della Corte Suprema.

I Grandi elettori in gioco

Molti osservatori hanno affermato che le possibilità di un ribaltamento del risultato elettorale siano bassissime. Biden gode di 279 Grandi elettori e può arrivare a 306. In Georgia (16 elettori) e Arizona (11) lo scrutinio è ancora in corso ma anche con quei voti, Trump non riuscirebbe a superare Biden. Nella giornata dell’undici, i media americani hanno dato la vittoria in Alaska a Trump ma questo porta solo tre Grandi elettori. L’importanza di questa vittoria sta più nella conferma del senatore repubblicano Dan Sullivan che non per la campagna presidenziale.

Come finirà?

Entro l’8 dicembre dovranno concludersi tutti i contenziosi legali e i riconteggi, per rispettare le date canoniche del processo elettorale. Il 14 dovrebbe poi venire ufficialmente dichiarato il vincitore. In questa data, i Grandi elettori si riuniranno e, dichiarando i risultati del loro Stato di appartenenza, determineranno il futuro presidente degli Stati Uniti.

Alcune voci parlano di un Trump pronto a candidarsi di nuovo nel 2024 in caso di sconfitta. Questa ipotesi è caldeggiata da una larga fetta del suo partito che non vuole rinunciare ai settanta milioni di voti presi dal presidente uscente.

L'autore: Andrea Noli

Analista aziendale, scrivo articoli da oltre quattro anni oscillando tra Economia e politica.
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